Approfondimenti

Perle, rubini, spinelli, granati, opali e diamanti – Preziosità dipinte ai Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi

Da sempre l’arte pittorica offre degli scorci sui costumi e sulle mode che si sono susseguiti nel corso dei secoli. Categoria principe è l’oreficeria, che non solo adorna i personaggi ritratti, ma riesce anche veicolare significati nascosti. 

Quali materiali preziosi si celano dunque nelle opere pittoriche dei Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi? Quali simbologie esprimono e che cosa raccontano dei soggetti dipinti?

Perle

Per cominciare, uno dei materiali senza dubbio più diffusi è la perla. Simbolo in tutte le epoche di bellezza ed eccellenza muliebre, essa fa da protagonista in numerose opere a soggetto femminile. 
Questo è il caso dell’anonimo Ritratto di donna della collezione Borgetti (Fig. 1), ritraente una giovane donna vestita alla moda tardo-cinquecentesca: nonostante l’ingombrante gorgiera, ella fa sfoggio di candide, lisce, rotonde perle agli orecchini e alla collana (A. Desideri, in Coltrinari 2012, 174-175).

Fig. 1: Ritratto di donna, seconda metà sec. XVI, olio su tavola, proveniente da Collezioni Borgetti, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 1: Ritratto di donna, seconda metà sec. XVI, olio su tavola, proveniente da Collezioni Borgetti, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

Entrambi i gioielli fanno parte della parure matrimoniale rinascimentale, poichè – per citare Marco Antonio Altieri in Li Nuptiali – «alla sposa se acconvenga quel venerabile candore, non sol del corpo, ma de’ pensamenti et de’ costumi decorata» (Marco Antonio Altieri, Li Nuptiali, 1506-1513, ed. cons. Roma 1873, p. 68). In particolare, il cosiddetto “vezolo di perle” si lega «per un verso al privilegio sociale e per un altro allo stato coniugale, al legittimo esercizio della sessualità all’interno del matrimonio, e dunque alla virtù, e al dovere imposto alle mogli, tenute a mettere al servizio della famiglia e della società la loro capacità riproduttiva» (Muzzarelli et alii 2023, 59). Ugualmente, gli orecchini, simbolo di obbedienza, esprimono la promessa di castità della neosposa (Malaguzzi 2023, 167). 
L’uso della perla diventa preponderante nella ritrattistica barocca sia per la sua potenza scenografica sia per il suo carattere evocativo. Lo si nota nel seicentesco Ritratto di Lucrezia d’Ugni Ciccolini, modello esemplare di moglie “perfetta”, dal nome, peraltro, di una delle più antiche eroine di castità (Fig. 2).

Fig. 2 Ritratto di Lucrezia d'Ugni Ciccolini, 1636-1713, olio su tela, proveniente da Collezione Irene Ciccolini Costa, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 2 Ritratto di Lucrezia d’Ugni Ciccolini, 1636-1713, olio su tela, proveniente da Collezione Irene Ciccolini Costa, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

Tra i monili risaltano il vezzo di perle e, sul nero dell’abito, la lunga collana à sautoir, la cui presenza è enfatizzata dal nodo e dal gesto della mano. Come è già stato messo in luce, una traccia di questi gioielli può essere trovata nell’inventario dei beni di Barbara, nuora di Lucrezia, del 1702: «vezzo grande proveniente da una gargantiglia (cioè una collana) dono del cardinal Montalto a Giacoma, suocera di Lucrezia e ancora un ciuffo di rubini, essendo quelli che erano nella gargantiglia; una gargantiglia di perle e lacrime di diamanti … trenta perle che sono nel vezzo grande che Lucrezia, come dice Barbara, aveva valutato 1500 scudi» (F. Coltrinari, in Coltrinari 2012, 193-194). 

Quale attributo femminile per eccellenza, la perla ritorna più volte, con vari significati, anche nel variopinto contesto della Galleria dell’Eneide. Adorna non solo la Venere del romano Luigi Garzi (1638-1721) nella tela Venere nella fucina di Vulcano, ma soprattutto la figura di Andromaca in L’incontro di Enea e Ascanio con Andromaca e Eleno a Burotro del bolognese Gian Gioseffo Dal Sole (1654-1719) (Fig. 3). 

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Fig. 3: Gian Gioseffo Dal Sole, L’incontro di Enea e Ascanio con Andromaca e Eleno a Burotro, particolare Andromaca, olio su tela, 1712-1714, proveniente da Galleria dell’Eneide, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

Andromaca, figura emblematica di fedeltà e affetto materno, porta alla manica un fermaglio con una barocchina, come a voler dire che è la virtù a guidare il suo agire. Indossa, inoltre, al centro della scollatura un pettorale con tre perle pendenti. Nonostante la scarsa leggibilità dell’opera, alcuni confronti suggeriscono che si possa trattare di un cammeo con l’effigie di Ettore, l’amato marito a cui Andromaca rimarrà sempre fedele: se così fosse, la scelta della perla andrebbe a rinforzare il significato del monile. 

Dopo un esempio virtuoso passiamo alla controversa Didone, che si toglie la vita poiché tormentata dalla partenza di Enea ma anche dal tradimento nei confronti del marito Sicheo. L’episodio è illustrato dal veneziano Gregorio Lazzarini (1655-1730) nella tela Morte di Didone (Fig. 4).

Fig. 4: Gregorio Lazzarini, Morte di Didone, 1714, olio su tela, proveniente da Galleria dell’Eneide, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.  - Musei Macerata
Fig. 4: Gregorio Lazzarini, Morte di Didone, 1714, olio su tela, proveniente da Galleria dell’Eneide, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. 

Mentre la sorella e la nutrice cercano inutilmente di sostenerla, la regina si abbandona esanime sulla pira con la spada dell’eroe ben in vista e la corona che cade dal suo capo reclinato. Tra i molteplici ornamenti in perle, il pittore aggiunge un dettaglio assente nel testo virgiliano (Eneide, IV, 641-705): un vezzo reciso.

Ecco che il tradizionale ornamento nuziale diviene espressione visiva della perdita di virtù. Uno stretto parallelo ci viene offerto dal Tintoretto – pittore veneziano approfondito dal nostro Lazzarini – che aggiunge il medesimo particolare nell’opera tardo-cinquecentesca Tarquinio e Lucrezia (Fig. 5), conferendo alla scena una simile nota di intenso patetismo (Zamperini 2023, 63).

Fig. 6: Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia, 1578-1580, olio su tela, Chicago, The Art Institute of Chicago, Art Institute Purchase Fund (© The Art Institute of Chicago, Chicago).  - Musei Macerata
Fig. 5: Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia, 1578-1580, olio su tela, Chicago, The Art Institute of Chicago, Art Institute Purchase Fund (© The Art Institute of Chicago, Chicago). 

Rubini e spinelli

Dal candore della perla si passi ora al vermiglio dei rubini e degli spinelli. In antico, tali materiali sono considerati quintessenza del fuoco, divenendo così, nel linguaggio figurato dell’oreficeria, vocaboli dell’amore ardente. Ad esempio, lo stesso Altieri dichiara a proposito dello spinello: «el balascio poi, come de ignea materia, denoti lo corpo, receptaculo del core, infocato da amorevil fiamma, et per questo demostrase dunarli la anima ello core» (Marco Antonio Altieri, Li Nuptiali, 1506-1513, ed. cons. Roma 1873, p. 53).

Tra le collezioni dei Musei Civici, una prima testimonianza iconografica ci viene fornita dal Ritratto di donna già incontrato in precedenza (Fig. 1), che presenta, oltre alle perle, svariate gemme rosse inserite nella complessa reticella dorata o incastonate nel pendente sul petto appeso ad una catena. Quest’ultimo monile, in particolare, sembra assumere una doppia funzione: da un lato esprime il sentimento di carità della nobildonna, dall’altro ne protegge le virtù site nel cuore. 

Vermiglie, inoltre, le pietre a cabochon della settecentesca Madonna che prega con il capo reclinato del lascito Ciccolini (Fig. 6). In una “REGINA COELI” – come recita l’iscrizione soprastante – già impreziosita da oro e perle, simboli rispettivamente di contemplazione divina e fertile purezza, spiccano molteplici rubini o spinelli sulla corona, sull’orlo della veste e sul fermaglio: questi esprimono le virtù della Vergine, archetipo della generosità per aver donato il figlio all’Umanità. In tal senso, risulta potenziato il significato del melograno visibile sul mantello di Maria quale frutto di fecondità e maternità.

Fig. 7: Madonna che prega con il capo reclinato, sec. XVIII, olio su tela, proveniente da Collezione Irene Ciccolini Costa, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.  - Musei Macerata
Fig. 6: Madonna che prega con il capo reclinato, sec. XVIII, olio su tela, proveniente da Collezione Irene Ciccolini Costa, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

Granati

Al pari dei rubini e spinelli, una colorazione rosso-rubino contraddistingue anche il granato identificabile nel Ritratto di donna anziana attribuito a Todeschini (1664-1736) (Fig. 7). Esso è lavorato in piccoli vaghi a comporre i numerosi fili della collana a girocollo indossata dalla protagonista.

Fig. 8: Giacomo Francesco Cipper detto il Todeschini (attr.) Ritratto di donna anziana, fine XVII sec., olio su tela incollata su tavola, proveniente da Collezioni Borgetti, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 7: Giacomo Francesco Cipper detto il Todeschini (attr.) Ritratto di donna anziana, fine XVII sec., olio su tela incollata su tavola, proveniente da Collezioni Borgetti, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

Sul piano etimologico, il granato è così chiamato «quòd fulgeat, similisque sit grano mali punici» (Trad: perché brillava e somigliava a un chicco del frutto della melagrana) (Girolamo Cardaro, De gemmis et coloribus, 1585, ed. cons. Parigi 1658, II, p. 559). Molteplici sono le sue proprietà magiche secondo le fonti lapidarie. Sul tema riferisce ancora a metà Seicento il medico Athanasius Kircher, riassumendo: «Exiccandi vi pollet, cor corroborat; intrant compositionem elixiris vitae vitas et confectionem hyacinthi» (trad. favorisce la cicatrizzazione, aiuta il cuore e rientra nella mistura che compone l’elisir di lunga vita e nella composizione del giacinto) (Kircher, Mundus subterraneus, VIII, p. 78). A queste virtù si aggiunge la capacità – già nota alle fonti medievali – di mitigare la tristezza e rallegrare il cuore (Alberto Magno, De mineralibus, 1261-1263, ed. cons. Oxford 1967, p. 96).

Nella tela in oggetto, il monile risulta senz’altro azzeccato se confrontato con l’età della protagonista. Leggendo l’Iconologia di Cesare Ripa si scopre infatti che la Malinconia ha le sembianze di una «Donna vecchia, mesta, et dogliosa […] perciò che gl’è ordinario de’ giovani stare allegri, et i vecchi malenconici, però ben disse Virg. nel 6 ‘Pallentes habitant morbi, tristisque senectus» (Cesare Ripa, Iconologia, 1593, ed. cons. Milano 1992. p. 261). Pertanto, quale materiale migliore del granato per allontanare la malinconia tipicamente senile?

Opali

Il prossimo prezioso ci viene offerto dalla pala d’altare Madonna con il Bambino, Santi e due fanciulli, proveniente dalla Cappella Panici del santuario di Santa Maria delle Vergini a Macerata e oggi esposta presso i Musei Civici (Fig. 8).

Fig. 9: Cesare e Vincenzo Conti, Madonna con il Bambino, Santi e due fanciulli, 1595-1598, olio su tela, proveniente da Macerata, santuario di Santa Maria delle Vergini, Cappella Panici, attualmente presso i Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 8: Cesare e Vincenzo Conti, Madonna con il Bambino, Santi e due fanciulli, 1595-1598, olio su tela, proveniente da Macerata, santuario di Santa Maria delle Vergini, Cappella Panici, attualmente presso i Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

La tela viene commissionata ai fratelli Cesare (1545 ca.-1622) e Vincenzo Conti (?-1626) dai fratelli Ottavio e Orazio della nobile famiglia locale Panici su volontà del fratello, il monsignor Giangiacomo Panici, deceduto nel 1591. Nella fascia inferiore, ai lati di Sant’Alberto degli Abati – membro dell’Ordine dei Carmelitani che gestiva il santuario maceratese – figurano in posa orante due fanciulli della casata (Figg. 9-10), da identificare probabilmente nei figli dello stesso Orazio (Canullo 2017, 80).

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Figg. 10-11: Cesare e Vincenzo Conti, Madonna con il Bambino, Santi e due fanciulli, particolari delle mani, 1595-1598, olio su tela, proveniente da Macerata, santuario di Santa Maria delle Vergini, Cappella Panici, attualmente presso i Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata

Figg. 9-10: Cesare e Vincenzo Conti, Madonna con il Bambino, Santi e due fanciulli, particolari delle mani, 1595-1598, olio su tela, proveniente da Macerata, santuario di Santa Maria delle Vergini, Cappella Panici, attualmente presso i Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

La resa delle vesti è realistica, rispecchiando il costume dell’epoca. Oltre alla gorgiera ornata di pizzo, si nota un altro curioso accessorio: all’indice di entrambi i fanciulli risplende un anello dorato con una pietra grigio-perla di forma ovale. Si tratta verosimilmente di un opale a cabochon, qui dipinto nella varietà di colore lattiginoso con bagliori cangianti. 

Per le sue sfumature cromatiche, affascinanti e mutevoli, la pietra è stata considerata in tutte le epoche quale potente portafortuna nonché ricercato segno di censo. Fin dall’antichità, inoltre, la sua preziosità è stata associata alla bellezza florida tipica dell’età adolescenziale. Come ricorda, infatti, Andrea Bacci nel suo lapidario cinquecentesco – basandosi sulla testimonianza del romano Plinio il Vecchio – l’opale è denominato “paederota” (“amante dei fanciulli”), vale a dire «a puero et amore, quod pueri pulchritudinem referat» (trad. da “fanciullo” e “amore”, poiché ricorda la bellezza di un fanciullo) (Andrea Bacci, De gemmis et lapidibus preciosis, 1587, ed. cons. Frankfurt am Main 1603, 166).

Per queste ragioni è plausibile trovare tale materiale in un’opera celebrativa della famiglia Panici in cui compaiono proprio i suoi giovanissimi eredi. Ulteriore conferma è data dal valore assertivo-identitario dell’anello e dalla valenza dell’indice quale “dito della dimostrazione” (Malaguzzi 2023, 130).

Diamanti

L’ultimo materiale prezioso indagato in questa sede è il diamante. Tra le collezioni dei Musei Civici, esso è riconoscibile nei ritratti settecenteschi di due ecclesiastici locali: il Ritratto di Monsignor Pellegrino Consalvi, vescovo di Fossombrone e di Fano dal 1775 al 1786 (Fig. 11) e il Ritratto di Monsignor Filippo Mornati, vescovo di Sutri e Nepi dal 1754 fino al 1778 (Fig. 12).

Fig. 12: Carlo Magini, Ritratto di Monsignor Pellegrino Consalvi, seconda metà sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 11: Carlo Magini, Ritratto di Monsignor Pellegrino Consalvi, seconda metà sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.
Fig. 13: Ritratto di Monsignor Filippo Mornati, sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 12: Ritratto di Monsignor Filippo Mornati, sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

L’identità dei ritrattati è resa nota da alcune iscrizioni. Nel primo caso, un foglio sul tavolo recita “ALL’ILL.MO E R.MO SIG. / MONS. PELLEGRINO CONSALVI/ VESCOVO IN FANO / CARLO MAGINI PITTORE IN FANO”, denunciando così la mano dell’artista Carlo Magini (1720-1806). Nel secondo, le lettere presentano nell’intestazione: “AL ILL.MO REV. MONS. FILIPPO MORNATI”. L’eccellenza dei protagonisti è sottolineata, inoltre, dagli stemmi gentilizi e dal loro vestimentario. Entrambi indossano un abito in tessuto damascato, una mantella verde foderata di rosso e ornamenti preziosi come anelli e pendenti a croci (Figg. 13-14).

Fig. 14: Carlo Magini, Ritratto di Monsignor Pellegrino Consalvi, particolare della mano, seconda metà sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 13: Carlo Magini, Ritratto di Monsignor Pellegrino Consalvi, particolare della mano, seconda metà sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.
Fig. 15: Ritratto di Monsignor Filippo Mornati, particolare del pendente, sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. - Musei Macerata
Fig. 14: Ritratto di Monsignor Filippo Mornati, particolare del pendente, sec. XVIII, olio su tela, depositi Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.

In questi monili sono incastonati diversi diamanti, gli uni, del Consalvi, lavorati a punta, gli altri, del Mornati, a tavola. Trattandosi di eminenti esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, la cosa non sorprende. A partire dal Medioevo, il diamante viene qualificato come pietra dell’autorità – secolare o religiosa che sia – in grado di testimoniare la perennità del potere e della fede cristiana oltre che proteggere dall’influenza maligna (Absalon, et alii 2002, 160). La credenza si basa sulle caratteristiche stesse della gemma, quali lo splendore e la durezza su cui si sofferma, tra gli altri, il gemmologo Anselmo Boezio de Boodt nel Gemmarum et lapidum historia: «Dignitatem Adamantis auget tum a splendor, quo dum radios hinc inde iacit […], tum materia, quae fere incorruptibilis est». (Il valore del diamante è potenziato sia dalla luminosità con cui proietta di qua e di là dei raggi […], sia dal materiale, che è del tutto incorruttibile) (Anselmo Boezio de Boodt, Gemmarum et lapidum historia, 1609, Lyons 1636, p. 128). A partire da tali proprietà fisiche il diamante ha assunto anche un valore cristologico: come la divinità di Cristo non può essere compromessa da nessun uomo, così il diamante affronta il ferro e il fuoco senza esserne intaccato; ugualmente, come il diamante appare mortificato dalla luce diurna per risplendere di notte, così la vita terrena ha mortificato Cristo che rifulge tra gli uomini avvolti dalle tenebre (Malaguzzi 2007, 317). 

Questa breve panoramica ci permette di comprendere la semantica dei preziosi indossati dai nostri Monsignor Consalvi e Mornati. Da un lato, la gemma adamantina, emblema del Salvatore, in associazione all’anello, ornamento nuziale per eccellenza, allude al matrimonio dei vescovi con Cristo; dall’altro, potenzia la funzione protettiva del pendente a croce, esprimendo con forza il vigore della loro fede. Il medesimo significato si ritrova nell’ultimo dipinto della rassegna ripreso dalla Galleria dell’Eneide: L’Allegoria della Chiesa che sconfigge gli dei pagani (Fig. 15).

Fig. 16: Francesco Mancini, L’Allegoria della Chiesa che sconfigge gli dei pagani, olio su tela, 1712-1714, proveniente da Galleria dell’Eneide, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi.  - Musei Macerata
Fig. 15: Francesco Mancini, L’Allegoria della Chiesa che sconfigge gli dei pagani, olio su tela, 1712-1714, proveniente da Galleria dell’Eneide, Musei Civici Palazzo Buonaccorsi. 

Qui il pittore Francesco Mancini (1679-1758) raffigura la Chiesa come una donna vestita di un sontuoso piviale dorato fermato sul petto da un fermaglio diamantato mentre stringe il vessillo della Vera Croce. Il gioiello allude plausibilmente alla fede cristiana che trionfa sul paganesimo. Dalla figura si allontana infatti un putto con in mano la folgore di Giove, mentre le si avvicina un altro con il turibolo, simbolo della Chiesa stessa. Per decifrare l’opera, un ultimo spunto ci viene offerto dall’abate Cesare Orlandi, che descrive così la cosiddetta “Vittoria di Santa Chiesa” nella sua riscrittura dell’Iconologia di Cesare Ripa: «Tiene un fulgido Sole nel petto, quale […] sembra la detta maestà dell’Impero; e siccome il Sole è Padre universale delle generazioni naturali; così ella è Madre di tutte le generazioni spirituali, e come quello per tutto esplende, e sospigne i suoi rai, così ella il suo dominio» (Cesare Ripa, Iconologia notabilmente accresciuta d’Immagini, di annotazioni, e di fatti dall’abate Cesare Orlandi, 1764, V, 395.). Tenendo presente che a partire dal Rinascimento il diamante è stato considerato una pietra solare dotata della stessa brillantezza e forza irradiante del sole (Malaguzzi 2007, 321), si avanza un’ipotesi: il diamante dipinto da Mancini potrebbe rappresentare il sole descritto da Orlandi? Difficile stabilirlo con certezza. Ciononostante l’idea rimane suggestiva.

Conclusione

Perle, rubini, spinelli, granati, opali e diamanti: questi sono i materiali che si è cercato di scoprire in un percorso inedito attraverso i Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi. Per quanto parziale, si è provato a offrire un punto di vista differente con cui leggere alcune opere esposte o presenti nei depositi. Attraverso l’affascinante dimensione dell’oreficeria, infine, si è dimostrato che dettagli apparentemente secondari possono invece fornire chiavi di lettura, in tutti i sensi, preziose. 

Progetto: Servizio Civile Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi
Testo: Elena Moscara
Coordinamento Scientifico: Giuliana Pascucci

Per approfondire

P. Absalon, H. Bari, R. Frechet, Adamas l’invincibile, la natura sacra del diamante, in Diamanti, arte storia e scienza, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 1 marzo-30 giugno), a cura di H. Bari e C. Cardona, Roma 2002, pp. 153-177. 

G. Canullo, Il santuario di Santa Maria delle Vergini a Macerata, in A.M. Ambrosini Massari, Capriccio e natura. Arte nelle Marche del secondo Cinquecento. Percorsi di rinascita, catalogo di mostra, a cura di A. Delpriori, Cinisello Balsamo, 2017. 

Violetta, Carmen, Mimì. Percorsi al femminile dallo Sferisterio ai Musei Civici di Macerata, catalogo di mostra, a cura di F. Coltrinari, Macerata 2012.

S. Malaguzzi, Oro, gemme e gioielli, Milano 2007. 

S. Malaguzzi, Diamanti, rubini e smeraldi. Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi, Busto Arsizio 2023. 

Musei Civici Palazzo Buonaccorsi, Pinacoteca e Galleria dell’Eneide, Pollenza 2023. 

M. G. Muzzarelli, L. Molà, G. Riello, Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti, Bologna 2023. 

A. Zamperini, Moda nel Rinascimento europeo. Tre abiti e tre storie, Cinisello Balsamo 2023.